Mark Cousins, il regista e critico irlandese prolifico autore di testi e documentari sulla storia del cinema, questa settimana è ospite del Biografilm festival a Bologna, in cui presenta tre suoi lavori. Il suo stile accessibile e il suo entusiasmo hanno reso estremamente popolari i suoi saggi e soprattutto la sua monumentale "The Story of Film: An Odyssey" (in 15 puntate, visibile su RaiPlay), e più recentemente, Storia dello sguardo (The Story of Looking). A ‘terre di confine filmfestival’ avevamo proiettato anni fa il suo documentario “6 Desires: DH Lawrence and Sardinia” (Regno Unito/Italia/2014/85’), grazie alla collaborazione di Laura Marcellino (co-sceneggiatrice) e alla direzione artistica di Paolo Zucca.
Mark è affabile, informale, empatico. Gli abbiamo rivolto alcune domande sui festival e sulla didattica del cinema. La trascrizione della conversazione in inglese è disponibile qui.
D. La prima domanda riguarda l'articolo che hai scritto sul The Guardian due anni fa. Descrivevi il festival cinematografico dei tuoi sogni: cento film, nessun red carpet, nessuna area VIP e film scelti dall’economista Amartya Sen e dalla cantante country Dolly Parton. E proiettati sulle loro lenzuola. C’è un festival cinematografico che è riuscito ad applicare una formula simile?
R. Penso che molti festival cinematografici siano piuttosto simili, piuttosto stereotipati. Un festival di cinema dovrebbe essere un evento creativo. Non basta scegliere i film, inserirli e scegliere gli ospiti. Bisogna innovare la forma. Un festival recente di cui ho sentito parlare e che ritengo sia stato il più innovativo, si è svolto in Svezia, a Goteborg: hanno deciso di fare un intero festival con un pubblico di una sola persona. Hanno scelto un'operatrice sanitaria, un'infermiera, e le hanno mostrato l'intero festival all’interno di un faro in Svezia. È emozionante.
Nel mondo ci sono tantissimi festival cinematografici, e c’è veramente bisogno di innovare. Questo per quanto riguarda la forma, l'atmosfera, l'estetica, la classe sociale di riferimento. Molti festival sono molto borghesi. Ecco perché avevo inserito Dolly Parton. Ai festival dovrebbero coesistere la cultura ‘alta’ e la cultura ‘bassa’.